21:27. Ilicic sulla destra, in contropiede. Arriva al vertice dell’area di rigore, punta Fernandinho, rientra sul suo mancino per calciare, ma viene atterrato. È rigore. Tutto l’Etihad in silenzio.
21:28. Un boato si alza nel cielo di Manchester, sono i tremila bergamaschi volati in Inghilterra. Malinovskyi ha segnato dal dischetto e no, non sembra vero.
21:29. I giocatori del City portano il pallone a centrocampo, c’è una fetta dell’Etihad Stadium che è letteralmente in delirio. Abbracci, urla, lacrime. Vertigini nel sentirsi così in alto, perché l’Atalanta così in alto non c’è mai stata.
21:30. La partita è ricominciata, Guardiola è irriconoscibile. Scuro in volto. Non ci sta. Dall’altra parte Gasperini, che uno scherzetto all’amico Pep vorrebbe farlo per davvero. E ci sta riuscendo.
La piccola, grande Atalanta in vantaggio contro il Manchester City e no, la PlayStation non c’entra. Per di più un vantaggio meritato dopo mezz’ora di grande calcio, senza paura. Quella paura che ogni tanto ha tradito l’Atalanta, fortificata da episodi più o meno recenti.
21:32. Il vantaggio porta tanti pensieri, sguardi continui al cronometro. “Quanto manca?”, tantissimo ancora, non ci si può aggrappare certo al tempo. E allora bisogna difendere, contro il City. Contro Sterling, Agüero, Mahrez, De Bruyne e tutti gli altri. Difendere. E un po’ di ansia non può subentrare nella mente di chi cerca di capire se sia la realtà quella davanti ai propri occhi.
21:34. Agüero. Da pochi passi, anticipando Gollini. Come svegliarsi nel cuore della notte e realizzare di aver appena concluso uno splendido sogno. Perché il City è fortissimo, non ti perdona.
Finirà 5-1, poco importa per il popolo nerazzurro, una sconfitta tutto sommato calcolata già al momento del sorteggio. Con la consapevolezza di aver provato a giocare a calcio, come sempre. “Meglio così piuttosto che fare le barricate per novanta minuti”, dice Gasperini al fischio finale. Restano quei sei minuti, tra le 21:28 e le 21:34. Sei minuti in cui Bergamo ha sognato a occhi aperti con la sua Atalanta. E al fischio finale non può che esserne orgogliosa.
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