Ari è nato a Fortaleza, gioca in Russia e a 15 anni fu scoperto su una spiaggia. Palleggiava con gli amici, il più classico dei calcio-tennis, sorrisi e tuffi, ma un osservatore intravide dal nulla un talento particolare: “Sei bravo, vieni a fare un provino con noi?”. La sua storia è iniziata così, con un colpo di fortuna, grazie a uno “splendido dono” chiamato pallone. Un termine che ritroveremo poi.
Oggi Ari ha 33 anni, è diventato il primo giocatore di colore della Nazionale russa e sta trascinando il suo Krasnodar ai sedicesimi di Europa League. Merito di un pallonetto improvviso che rimonta l’Akhisaspor e blinda la qualificazione. Basta un punto con il Siviglia ora. Secondo posto in campionato, lo Zenit corre veloce ma il Krasnodar insegue e tallona, anche grazie ad Ari.
Ari come Ariclenes Da Silva Ferreira, cognome tutt’altro che russo, oriundo di Fortaleza (Brasile) cresciuto con l’idolo Romario e insieme a Ronaldinho, ex compagno nell’Under 20. Sorride sempre, ha tre figli, è sposato con una modella russa e colleziona cappelli con il suo nome. “Ari 9”. Una passione insolita: “Ne ho talmente tanti che non so più dove metterli”. Personaggio sui generis, da raccontare, due anni fa ha salvato una donna incinta da un’auto in fiamme. Roba da Mission Impossible: “Eravamo io e Farfan (attaccante della Lokomotiv Mosca ndr), ricordo un incidente pazzesco, tante fiamme, io che mi precipito fuori dall’auto per soccorrere i feriti. Un’esperienza davvero incredibile”. Che ti resta dentro e non se ne va più.
Ari gioca in Russia da 9 anni, prima allo Spartak e oggi al Krasnodar (8 gol in 12 partite stagionali), Cherchesov l’ha tenuto in considerazione anche per i Mondiali in casa, poi sfumati per intoppi burocratici: “Il passaporto non è arrivato in tempo”. A luglio riesce a prenderlo, a novembre colleziona due presenze contro Germania (da titolare) e Svezia, diventando un caso. Roman Pavlyuchenko – ex bomber di Spartak e Tottenham – ha riassunto il pensiero di gran parte dei tifosi: “Gioca Ari? Benissimo, se c’è lui non guarderò la Nazionale”. Boom. Nessun motivo razziale, sia chiaro, bensì la voglia comune di puntare sui giovani russi (come Chalov, talento del CSKA) e non sugli stranieri. Ari ha dato un calcio alle polemiche: “Ora sono in pace con me stesso”. A differenza di Mario Fernandes – altro brasiliano che non sa neanche leggere il cirillico – lui ascolta e capisce quasi tutto.
Se la sua vita fosse un romanzo sarebbe una rivisitazione moderna di un cult di Le Carré: “La spia che venne dal freddo”. Titolato così stavolta: “Il bomber che ha sposato il freddo”. Un po’ più adatto a uno come lui. Perché da Fortaleza a Krasnodar sono chilometri di sogni, speranze e culture, quest’ultime differenti. Pensate: Ari non ha mai visto il Carnevale di Rio, ma è stato varie volte in Piazza Rossa, in prima fila durante la parata per il “Victory Day”.
Guai a parlare di “saudade” però, o magari di quanto gli piacerebbe evitare quel meno 15 tipico invernale: “Ho giocato in Svezia, in Olanda e da 9 anni gioco in Russia. Sono abituato”.
Immune al freddo, guai a toglierglielo, soprattutto se sigla reti da capogiro. Ari-gol, un soprannome tatuato anche sulla pelle, accanto a un bambino con un vassoio di frutta in testa. Quando lo indica ai cronisti ancora si emoziona: “Vedete? Questo sono io”. Un giovane Ari di tanti anni fa, undicenne col grande sogno del pallone, venditore ambulante al mercato: “Portavo la frutta, ho lavorato anche nei cantieri, ero un tuttofare”.
Prima il Kalmar, capocannoniere a 20 anni e campione di Svezia, poi tre anni di AZ Alkmaar con Graziano Pellè. Infine la Russia: ha giocato anche nella Lokomotiv Mosca, con cui ha vinto il titolo l’anno scorso. Oggi la vita dice Krasnodar, polo industriale sul fiume Kuban, città dal significato speciale: “Splendido dono”. Un segno del destino. Ari sta bene, il suo contratto scadrà a fine anno ma lui spera di restare: “Ho ricevuto offerte da Cina ed Emirati ma questa è la mia seconda casa”. Anche se non ci sono spiagge, soprattutto se fa freddo.
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