“Ero una promessa, non rispettai le aspettative. Il contratto con il Torino terminò, rimasi senza squadra. Le strade erano due: crescere e provare a rimettermi in gioco o vivacchiare e probabilmente smettere poco dopo”. Non esistono tempi predefiniti, ogni persona ha una sua storia. Le sliding doors si presentano, a volte senza cercarle. Quella di Mattia Aramu si è rivelata nell’estate del 2018. Nessuna grande occasione, ma una ripartenza dal Siena e dalla Serie C: “La prima grande difficoltà della mia carriera, da quel momento qualcosa è cambiato”. Cosa? La sua mentalità. Ma lo capiremo meglio tra poco.
“A Bari ho vissuto un altro momento pesante nel mio cammino. Non stavo bene, non riuscivo a esprimermi”. Nel mezzo ci sono le gioie con Venezia e Genoa, i nonni, l’amore per il Torino e il sogno della Serie A realizzato anni dopo. Il suo presente si chiama Mantova. Un universo umile fondato sulle idee, il lavoro e un po’ di romanticismo. Proprio come Mattia. La sua è la storia di un ragazzo diventato uomo che ha imparato “a volgere lo sguardo sempre in avanti. Il passato non puoi cambiarlo, ma puoi decidere cosa fare del tuo futuro”. E allora occhi all’orizzonte, si parte.
“I miei primi ricordi si dividono tra la squadra di paese allenata da papà e i provini con il Torino”. Un amore granata nato in famiglia: “Un legame unico. Una casa in cui sono cresciuto. Per questo dissi di no alla Juve”. Era scritto nel destino: “Con quella maglia ho esordito in A e contro il Torino ho segnato il primo gol. È parte di me”. 16 anni, dal settore giovanile alla prima squadra: “Mi fece esordire Mihajlovic. Mi ha dato tanti consigli. Con il tempo ho imparato ad apprezzare la sua trasparenza e chiarezza. Un valore raro nel calcio. Voleva solo il bene di chi aveva di fronte e trattava tutti allo stesso modo. Era sé stesso, sempre”.
“Non ero pronto, non avevo ancora la maturità per certi palcoscenici. C’erano molte aspettative su di me. Io non mi accorgevo di quanto la gente contasse su di me”. Estate 2018, il contratto con il Torino finisce, Mattia è senza squadra: “Ho capito che stavo sbagliando qualcosa e che dovevo cambiare”. Una svolta. Mentale, ancor prima che sportiva: “Avevo perso la voglia di rimettermi in gioco. Mi specchiavo molto nella mia qualità tecnica, mi accontentavo di quello. Poi ho compreso che non bastava. Ho smesso di cullarmi”. In Mattia cambia qualcosa. “Questo sarà l’anno dove mi rimetto in gioco davvero. Se non andrà bene non so se vorrò continuare a giocare“, il messaggio alla famiglia. La voglia di dimostrare. A sé, ancor prima che agli altri. In Serie C per ripartire, con il sogno di tornare in A: “Sembrava lontanissimo. Anzi, lo era. Ma ce l’ho fatta”.
Tasto play, il nastro scorre veloce. Arriviamo a Venezia: “A Siena avevo trovato continuità e recuperato autostima, poi l’opportunità di Venezia”. Doppia cifra un anno, vittoria dei playoff quello successivo, fino al ritorno in A”. Promessa mantenuta. “Non mi sono più accontentato. Vinto in B, pensavo già a cosa ottenere in A”. Una mentalità diversa. Immagine nitida della sua crescita. Sacrificio e determinazione. Questione di mentalità, appunto. E soddisfazioni, come a Genova: “Piazza unica per passione e calore”. Una cavalcata di “una squadra fortissima” sulle note di un ‘Guasto D’Amore’: “Ricordo ancora il canto della gradinata, emozionante”.
“Lo scorso anno a Bari non sono stato bene, non riuscivo a essere me stesso. Un periodo difficile”. L’arrivo nell’ultimo giorno di mercato “con molte aspettative. Da lì sono partiti mesi complicati”. Il momento più duro “da fuori lista. Mi allenavo a parte e non potevo giocare. Cercavo di guardare avanti. Detta così sembra facile, ma non lo è stato”. Quel pallone che da sempre e fino a poco prima era ragione e fonte di gioia, diventa motivo di frustrazione. Riuscire a rimanere positivo, pensare alla stagione successiva, mantenere la serenità e la calma: tutto si complica. “Per me e per le persone al mio fianco. Avevo momenti di nervosismo. Ho la fortuna di avere una moglie e una famiglia che mi hanno sempre compreso e sostenuto, comprendendo le mie difficoltà. E piano piano mi sono posto l’obiettivo di riscattarmi e far ricredere le persone che dubitavano di me. È stata la forza per restare in piedi e andare avanti”.
“Non devo dimostrare niente a nessuno. Sono consapevole di chi sono e di quello che ho fatto”. In estate la scelta di Mantova per il progetto e la filosofia di Possanzini. “Ma non la vivo come rivincita personale. Voglio solo divertirmi e aiutare la squadra”. “A disposizione”. Lo ripete spesso Mattia. Già, a disposizione. Le sue qualità, per la squadra. Perché diventare un giocatore significa anche questo. Con un amore pure per quel pallone, come quello per i suoi nonni: “Francesco, quello materno, è venuto a mancare, ho una sua frase tatuata. E Franco, quello paterno, mi segue sempre davanti alla televisione”. E per la famiglia: “Fondamentale”.
Quel giovane ragazzo con i tratti della promessa e animato da speranze si è fatto grande. Mattia è stato capace di diventare molto di più. Anzi, essere molto di più. Aramu ha preso forma, consapevolezza, significato. Per sé e per gli altri. Ora gioca per il gioco. Con uno sguardo rivolto sempre al domani. All’orizzonte la voglia di tornare in Serie A, una volta ancora. Il sogno continua.
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