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Dal record in Bundes alla maledizione Zweite: Amburgo, dove il tempo si è fermato

12 maggio 2018. Il gigantesco orologio blu installato sulle tribune del Volksparkstadion di Amburgo segna: 54 anni, 261 giorni, 0 ore, 36 minuti e 2 secondi. Il periodo di permanenza della squadra locale nella massima serie tedesca. 

In quel momento il tempo, letteralmente, si ferma. Il conteggio si azzera, perché l’Amburgo è retrocesso in Zweite Bundesliga per la prima volta nella sua storia. I tifosi non lo accettano: lanciano fumogeni, cercano di entrare in campo, si scontrano con la polizia a cavallo. Alcuni piangono: non sanno che al tempo lineare della storia sta per sostituirsene un altro, quello circolare, magico dell’incantesimo. 

L’Amburgo e la maledizione che dura dal 2018

Sì, incantesimo. Perché senza magia, l’incubo dell’Amburgo non si spiega. Intrappolato in un loop senza fine, da quel giorno di sei anni fa: i “Dinosauri”, così chiamati proprio per la loro longevità nella massima serie, non sono ancora riusciti a tornare nel loro giardino di casa, la Bundesliga. Nel frattempo l’orologio è stato rimosso, nel 2019. “Vogliamo guardare al futuro“, la giustificazione del club. Di nuovo, la proiezione verso un futuro che però sembra sempre più un miraggio. 

Oggi l’Amburgo è quarto in Zweite, alle spalle di Holstein Kiel (qui la sua storia), St Pauli e Fortuna Düsseldorf. Mancano quattro giornate e i punti di distacco dalla terza sono sei: servirebbe un’impresa per raggiungere il Relegationsspiel, lo spareggio con la terz’ultima di Bundes. 

Ma andiamo con ordine. L’impatto con la nuova categoria, nel 2019, è tutt’altro che morbido: 0-3 contro il Kiel. Alla fine l’Amburgo arriverà quarto, a un punto dall’Union Berlin, poi promosso. Decisivi alcuni scontri diretti persi nel girone di ritorno.

Il vero psicodramma si concretizza però l’anno successivo. L’Amburgo resta in zona promozione fino alle ultime giornate, e perde la possibilità di giocarsi lo spareggio proprio all’ultima giornata, per colpa della sconfitta contro la rivale diretta Heidenheim.

Nel frattempo diversi problemi economici ostacolano la risalita. Nel 2020-2021 arriva l’ennesimo quarto posto: ormai sembra sempre più una maledizione. Ma come insegna la legge di Murphy, “se qualcosa può andare storto, lo farà”. E nelle due stagioni successive l’Amburgo riuscirà a raggiungere il terzo posto, perdendo però in entrambi i casi il Relegationsspiel: la prima volta contro l’Hertha Berlino, la seconda contro lo Stoccarda, che grazie anche a quella salvezza in questa stagione è sempre più vicino a una clamorosa qualificazione Champions. 

Fra le due occasioni, quella in cui l’Amburgo è stato davvero a un passo dal ritorno in Bundesliga è stata la prima. Vittoria all’andata all’Olympiastadion (1-0), poi però il sogno viene infranto dopo pochi giorni al Volksparkstadion. Sulla panchina dell’Hertha siede Felix Magath, forse la più grande leggenda della storia dell’Amburgo, colui che nel 1983 segnò il gol decisivo nella finale dell’unica Coppa dei Campioni vinta dal club, contro la Juventus. Insomma, oltre al danno la beffa. 

Amburgo è la seconda città più popolosa della Germania, dopo la capitale Berlino. La squadra ha vinto sei volte il campionato tedesco, l’ultima delle quali proprio nel 1983. Neanche l’arrivo in panchina di Steffen Baumgart, allenatore ormai iconico grazie alla sua coppola e capace di grandi risultati con il Colonia, ha dato la svolta. Al Volksparkstadion l’orologio non c’è più, e il tempo è ancora fermo a quel giorno di maggio. 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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