Almería è un paesino a forma di città. Fuori dalle antiche mura, il paesaggio è una grossa macchia color mattone. Tutte case uguali, tutte della stessa, bassa statura, come se ci fosse un accordo comune perché la cittadinanza intera, anche a chilometri di distanza, possa vedere il mare dalla finestra.
Per lo sfarzo alzare lo sguardo. C’è l’Alcazaba, maestosa fortezza difensiva musulmana che veglia su quello che, ai tempi del suo massimo splendore, era uno dei porti commerciali più importanti del Mediterraneo. Non si sa bene se il nome della cittadina andalusa, in arabo, significasse proprio torre di controllo oppure specchio. Come il mare quando non ci sono onde. La vista da lassù illustra il perché mentre toglie il fiato ai visitatori.
Dopo i musulmani sono arrivati i cristiani, che nel XV secolo hanno cacciato i califfi e piazzato un cristo redentore per marcare il territorio. Non si impone come quello di Rio, è più dimesso. Lui non è distratto dal mare, anzi guarda giù, con pietà, le casette ai piedi della fortezza. Piccole abitazioni popolari di un piano, dipinte di tanti colori allegri. Ossimori in rovina: finestre spaccate e mosaici in stile arabo in una sola facciata. Chiusi dentro le case strillano dei galli. Pare un’allucinazione: siamo in pieno centro storico. Un perdigiorno canticchia flamenco seduto sotto la statua di Jairán Al-Amiri, primo re della Taifa di Almería. Non si capisce se sia uno dei tanti mediorientali che vivono qui o se la sua pelle sia ormai cotta da una delle città più soleggiate d’Europa.
È venerdì, 11 del mattino, e sul lungomare i locali passeggiano tranquilli come fosse vacanza. Non lo è. Dai balconcini bassi di quelle che dovrebbero essere le case dei vip, ad una manciata di metri dalla costa, due vecchine passano la mattina chiacchierando. Sono tutti molto amichevoli, tranne i ristoratori quando i clienti, nella fretta, mangiano le tapas a grandi bocconi per sbrigarsi. “Più veloce non si può?!”, chiedono stizziti. Il tempo, in fondo, è una misura soggettiva e qui ce n’è tanto che sembra non passare mai.
Di tutte le città del mondo, nessuno direbbe che proprio qui, dove nulla accade, verrebbe uno sceicco a comprarne la squadra. Il cui risultato più famoso, fra l’altro, è uno 0-8 subito in casa dal Barcellona di Guardiola in uno dei suoi sparuti anni in Liga. Eppure è successo, e non è uno sceicco qualunque. È il saudita Turki Al-Sheikh e per definirlo non basta una parola. Lui, sui social, opta per consigliere alla Corte Reale dell’Arabia Saudita e presidente dell’autorità pubblica per l’intrattenimento.
Ma è riduttivo. Sempre sui social, infatti, è un influencer da decine di milioni di follower. Lì minaccia i giocatori di sapere dove vanno a fare festa e sfoggia le sue amicizie nel mondo del pallone. Da Mourinho ad Unai Emery, Turki pubblicizza ogni suo incontro “con le migliori menti del calcio”, a cui ruba tecniche e segreti per metterli in pratica all’Almería. Perso fra gli auguri di compleanno di Ronaldinho, Maradona e Zanetti c’è persino un video in cui fa finta di tirare una testata ad un ignaro Zidane, ovviamente con la maglia dell’Almería indosso. Un must della sua comunicazione.
E poi c’è Messi, suo grande amico. Si seguono tanto, si scambiano messaggi affettuosi. È celebre in Spagna un video del 2019 in cui, mentre guardano nel suo palazzo di Riad un ottimo Elche-Almería, Turki gli dice che “in cinque anni” lo porterà nella sua squadra. “Quando costerai un po’ di meno”. Messi era lì con l’Argentina, per giocare un’amichevole contro il Brasile organizzata proprio dallo sceicco.
Ad Almería il foot-ball è arrivato dal porto. Lo hanno portato le navi inglesi ad inizio ‘900, ma la gloria calcistica non è di queste parti. Di società se ne sono susseguite tante, un fallimento sportivo e finanziario dopo l’altro, ma prima che nascesse l’attuale UD Almería, nei primi anni 2000, in un secolo di storia la Liga qui si era vista una volta sola. Oggi il conto è arrivato a sette e il suo miglior piazzamento è l’ottavo posto del 2008, valido per giocare un Intertoto a cui il vecchio presidente, però, non iscrisse la squadra. Forse è per questo che ad Almería i più sono madridisti.
Oggi, però, il clima è diverso. Visitiamo la città per viverne l’ambiente quando, al terzo anno di proprietà saudita e dopo due playoff persi, la promozione dalla seconda divisione alla Liga è davvero vicina. La squadra, fra l’altro, sta giocando alla grande. Il più esperto Rubi ha sostituito la scommessa Guti nel ruolo di allenatore e ha portato un calcio spregiudicato ed efficace. L’ex Roma Umar Sadiq è bomber e punta di diamante del suo 4-2-3-1, supportato da ragazzi di qualità come il mediano portoghese Samu Costa, il terzino ex Siviglia Alejandro Pozo o la mezzala argentina Lucas Robertone.
Insieme a noi arriva anche Turki, senza avvisare e quindi nella gran sorpresa di tutti. È un tipo imprevedibile, inafferrabile. Prende in contropiede persino il club, che lo tiene a debita distanza dai giornalisti. Ma spiando nei corridoi lo si può scorgere mentre si aggira nelle viscere dello stadio, seguito da uno sciame di fedelissimi e guardaspalle, tutti quanti con la maglia dell’Almería. Basso, tarchiato, braccine lunghe, barba scura. Svanisce lasciandosi dietro un’aura mistica, mentre i maxischermi fuori gli danno il “Bienvenido” proiettando il suo faccione.
Non capita spesso che passi da queste parti. Anzi, è la prima volta da quando è presidente (agosto 2019) che assiste ad una partita dal vivo. Lo speaker ne annuncia la presenza, l’Estadio de los Juegos Mediterraneos, strapieno, si infiamma in un “Turki, Turki, Turki” che suona più forte dell’inno cantato un attimo prima. Alcuni dei presenti saranno stati fra i fortunati vincitori delle Audi o degli assegni da migliaia di euro che lo sceicco mette in palio di tanto in tanto fra gli spettatori, giusto per battere i precedenti record di presenze.
Turki li guarda senza reagire, come se fosse abituato al fatto che 15.000 persone gridino il suo nome. In fondo, in Arabia Saudita è una star. Fa il poeta, scrive romanzi. Da uno di questi ha prodotto lo sceneggiato di un film, un horror chiamato “The Cello” (“la storia di un aspirante violoncellista che scoprirà che il costo del suo nuovo ‘cello’ è molto più alto di quel che pensava”), in cui recita anche il premio Oscar Jeremy Irons.
Su Apple Music, invece, potrete trovare una playlist chiamata “Dalla penna di Turki Al-Sheikh”, la quale raccoglie le canzoni che lui scrive regolarmente per i migliori interpreti del mondo arabo. Quello che non troverete su internet, invece, è una notizia negativa sul suo conto. Strano, nell’epoca in cui tutti abbiamo almeno una foto di cui vergognarci su Facebook. “Sarebbe strano se ce ne fosse una, visto il personaggio”, osserva un altro dei giornalisti invitati dal club in questo giorno di festa.
Contro l’Amorebieta finisce 3-0. Lo sceicco esulta al primo gol baciandosi l’anello per trenta secondi buoni, poi si lascia andare. Indica qualcuno in tribuna, poi il campo. Come a dire: “Hai visto che bravo lui? L’ho comprato io”. Al 90’ segna anche Sadiq, il suo 17º centro stagionale, e il pubblico si sfoga in un altro, ora spontaneo, “Turki, Turki”. Questa volta saluta, accenna un sorriso, poi ricongiunge le mani in preghiera. Quando è arrivato la gente era scettica — forse uno sceicco sembrava un po’ troppo per la piccola Almería — ma ora lo amano. “È che ha fatto semplicemente tutto bene”, segnalano i dipendenti del club.
Per chiudere il curriculum, “l’Eccellenza” è uno dei grandi protagonisti di un’Arabia Saudita che (più tardi rispetto a Paesi come Qatar o Emirati Arabi) si è gettata nel mondo dello sport per mostrarsi moderna e aperta al mondo. Turki è stato centrale in questo nel suo ruolo di (ormai ex) ministro dello Sport. È stato lui, per esempio, a portare la Supercoppa italiana e quella spagnola nella sua terra, così come la WWE, o la partita in onore di Maradona fra Barcellona e Boca Juniors, più recentemente. E poi è stato uno dei primissimi sauditi a comprare una squadra di calcio, prima con gli egiziani dei Pyramids FC e poi proprio con l’Almería, battendo sul tempo il fondo PIF e il suo Newcastle.
Il dubbio pare lecito: siamo di fronte ad una passione personale o è tutto sportswashing? Perché, insomma, un ministro del decimo Paese meno libero al mondo (secondo Freedom House) dovrebbe entrare nel calcio europeo se non per rendere l’Arabia Saudita più simpatica al pubblico occidentale? “Perché l’Almería è un investimento economico. Vogliamo fare profitti”, ci spiega il Direttore Generale e braccio destro di Turki, Mohammed El Assy. Tanto che, ammette, né lui né lo sceicco conoscevano la città prima che gli venisse proposto l’acquisto.
“Abbiamo detto dal primo giorno che l’Almeria è un investimento personale del ministro. Ci hanno accusato di appartenere al governo saudita, ma se l’Arabia Saudita avesse voluto comprare un club non avrebbe preso una piccola squadra della B spagnola. Avrebbero comprato il Valencia, o proprio il Newcastle, com’è successo. E anche se dietro ci fosse lo Stato, lo diremmo, perché non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi”.
In effetti, il progetto tecnico dell’Almería è costruito in maniera “metodica e sensata”, come dice El Assy, senza i colpi di estro che ci si aspetterebbe da un personaggio eccentrico come Turki. In questi tre anni sono arrivati quasi solo ragazzini, tanto che nelle ultime due annate gli “indalici” avevano la squadra più giovane in Spagna, e in quest’ultima hanno dovuto correggere il tiro aggiungendo più elementi d’esperienza.
Niente spese folli, allora. Anzi, apparentemente “il ministro non ha messo ancora nulla di tasca sua” perché, dopo i 20 milioni pagati per rilevare il club nel 2019, “da sette cessioni abbiamo guadagnato 31 milioni”. Questo nonostante al suo primo mercato avesse speso più di tutti in Segunda e di otto squadre in Liga. Merito soprattutto della cessione di Darwin Nuñez, scoperto in Uruguay e venduto al Benfica per 25 milioni.
E così il buon vecchio metodo del “comprare a poco e vendere a tanto” ormai guida anche gli sceicchi. “Per un club come questo il player trading è fondamentale”, ci spiega il direttore sportivo João Gonçalves. “LaLiga fa un rigido controllo economico in cui si tiene conto in particolare dei guadagni e noi siamo un club giovane, con poche entrate e una massa sociale non molto grande. Per crescere ci servono le plusvalenze. È la volontà del proprietario: ha deciso che sarebbe arrivato in alto sviluppando giovani talenti e continueremo così”.
Ne consegue che nemmeno l’ex Roma Umar Sadiq, stella e capocannoniere della squadra nelle due stagioni disputate in Andalusia, può essere considerato incedibile. Nel club dello sceicco che vuole fare soldi “tutti hanno un costo”, dice El Assy. Che ai tifosi non promette di lottare con Madrid e Barcellona, né di arrivare in Europa molto presto (“per quello serviranno tre, quattro anni, se tutto va bene”), ma “di non scendere mai più di categoria”.
Anche per quello, però, servono gli investimenti, e magari anche i grandi nomi, di quelli che scaldano le piazze. Che sia il momento di alzare il telefono e anticipare i tempi con quel Leo Messi, tanto amico dello sceicco? El Assy se la ride, ma non esclude nulla. “La nostra passione rimarrà cercare talenti, vederli crescere e venderli, che è una buona passione anche per le nostre finanze. Però, certo, se avremo la possibilità di prendere Messi io sarò contento”.
L’arrivo di una stella ad Almería, dunque, rimane appeso alla volontà del presidente di uscire dai binari di un progetto più rigido di quanto suggerivano le fantasie della prima ora. Non è una sorpresa, in realtà: l’aveva detto lo stesso El Assy, al suo arrivo, che “non è un idiota venuto qui a buttare denaro”.
Nel mentre, però, la gente sembra già felice così. “Quello che sta succedendo quest’anno non si è mai visto prima”, dice un tifoso. In effetti, 22 giornate passate in cima alla classifica non erano mai capitate in tutta la storia del club. “Dicevano che non abbiamo tifosi, guarda qua”, fa un altro mostrando il flusso della gente che affolla lo stadio. “È da tantissimi anni che non era così pieno. Noi giocatori ci sentiamo davvero di poter fare cose grandissime in questo ambiente”, aggiunge il terzino Alejandro Pozo.
Oggi i biancorossi allo stadio sono 15.000, presto potranno entrarne 25.000, quando la società avrà completato gli ambiziosi piani di ristrutturazione dell’impianto. Una capienza non scontata per una cittadina di 200.000 abitanti. Che dopo lo scetticismo iniziale sono perdutamente innamorati di Turki, forse il primo sceicco nella storia che vuole trionfare nel calcio “senza mettere un euro”, di certo il primo che può permettersi di dare una testata a Zidane e farla franca.
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