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Il taxi privato all’Espanyol, lo “stalking” del Barça e l’operazione al cuore: la storia del “pappagallino” Bernabé

Bernabé ha finalmente spiccato il volo, come un Periquito, che in italiano significa “pappagallino”. È il nome con cui vengono chiamati i giocatori dell’Espanyol, club dove il numero diez del Parma è cresciuto e che, in un modo o nell’altro, non ha mai lasciato.

Parma, la storia di Bernabé

Xavi, a sinistra, con Adrian

Ma andiamo con ordine: Adrian era un bambino come tanti altri a cui piaceva giocare a pallone, semplicemente gli veniva tutto molto più facile. A 7 anni faceva parte del CF Damm, piccola società della Catalogna, e grazie a David Fernandez, suo scopritore, l’Espanyol se lo era assicurato: “Si allenava già con noi ma era troppo piccolo per essere tesserato. Avevamo un accordo con la famiglia e appena è stato possibile è venuto da noi”. A raccontarcelo, però, è stato Xavi Corominas, primo allenatore di Bernabé all’Espanyol.

Xavi all’epoca aveva 19 anni ed era alla sua prima esperienza come allenatore: “Giocavo a calcio, stavo iniziando la mia carriera universitaria ed allenavo i bambini. Come calciatore ho visto che non c’era futuro, quando ero in panchina non riuscivo a stare seduto e da lì ho capito che mi sarebbe piaciuto fare l’allenatore. Ancora oggi penso che Adrian sia il giocatore che mi ha sorpreso di più tra tutti…

Il taxi “privato” dell’Espanyol

Xavi, in blu, e Adrian, terzo da sinistra

Adrian era l’unico dei più piccoli a cui abbiamo messo a disposizione un trasporto: i genitori lavoravano e dovevano badare alla sorella più piccola e allora lo facevamo andare a prendere con un taxi per venire al campo di allenamento. Arrivava un po’ tardi perché il tassista doveva fare varie fermate, ma compensava il tempo perso fermandosi di più con i più grandi: era incredibile vederlo giocare con loro”. 

La fascia con il 21 di Dani Jarque…

Un livello che ha sorpreso tutti: “Fin da subito si è mostrato un bambino molto educato e i compagni lo vedevano come un leader: ogni anno veniva votato come capitano. E nell’Espanyol è molto importante indossare la fascetta con il numero 21 di Dani Jarque…”. (giocatore del club deceduto per un infarto a cui Iniesta a dedicato il gol nella fella finale dei Mondiali 2010, ndr). Nell’ultima annata di Adrian, il 2013, la squadra ha giocato qualcosa come dodici tornei in tutta la Spagna: “E in almeno dieci ha vinto il premio come miglior giocatore. E giocavamo contro gente come Eric Garcia e Ansu Fati”. Da lì a poco sarebbe diventato compagno di entrambi al Barcellona.

Lo “stalking” del Barça

Sì, perché il Barça è sempre stato più che attento a Bernabé: “Qui in Catalogna ogni anno i migliori giocatori vengono presi dai blaugrana senza parlare direttamente con l’Espanyol: nel caso di Bernabé lo chiamavano ogni anno per convincerlo ad andare… Dopo cinque stagioni ha ceduto, ma è normale per quello che ti offrono dal punto di vista tecnico ed economico i blaugrana. È stata la cosa migliore per il suo futuro”.

Un bambino di dodici anni che ragionava già come una bandiera del club, tanto che nel giorno dell’addio le sue lacrime si sono mischiate con quelle del papà nell’ultima partita con l’Espanyol: una finale persa contro il Levante in uno dei tanti tornei spagnoli in cui era stato il migliore di tutti. 

Il City con Palmer e l’operazione al cuore

Poi il passaggio nelle giovanili del Manchester City, dove ha condiviso lo spogliatoio con Cole Palmer, e il “traumatico” trasferimento al Parma nell’estate 2021: appena arrivato, infatti, gli viene diagnosticata un’anomalia al cuore per cui è necessaria un’operazione chirurgica. L’esordio, per forza di cose, arriva dopo cinque mesi e nonostante lo schock iniziale, dopo quattro stagioni è riuscito a costruire un nido sicuro da cui è riuscito a spiccare il volo da protagonista (8 gol e 4 assist) verso la Serie A. Proprio come un Periquito.

Andrea Molinari

Nato a Verona nel 1998, il mio primo ricordo vivido legato al calcio è Shevchenko che sbaglia un rigore contro il Bayern Monaco. Grazie a lui (e anche a Kakà) da piccolo mi sono innamorato del pallone. Ma lui non lo sa. Sì, perchè ho giocato anche, purtroppo senza risultati. Nato attaccante, sono finito a fare il terzino: di solito succede a quelli con i piedi quadrati. Oggi provo a dimostrare questo amore scrivendo.

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