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A tutto Burdisso: “Scelta coraggiosa dare la fascia dell’Inter a Icardi. Sarà difficile che tutti restino al Genoa viste le cifre che girano”

Un capitano, un simbolo ormai per il Genoa, Nicolas Burdisso. Lui che, nonostante i 35 anni suonati, a Genova ha trovato una continuità impressionante sin dal suo arrivo, quando sembrava invece destinato a fare i conti con la fase calante della carriera. In una parola: imprescindibile. “Ho portato la fascia al braccio nell’Argentina, nel Boca e qualche volta nell’Inter e nella Roma. Infine qui al Genoa dopo la partenza di Antonelli: mi piace come i genoani si identifichino con Capitan Signorini o Rossi. C’è un senso di appartenenza unico alla città: il capitano del Genoa è qualcosa di più, un simbolo“, ha rivelato nell’intervista rilasciata a ‘Il Secolo XIX’.

Un ruolo, quello del capitano, da cui trae spunto ricordando i grandi giocatori con la fascia al braccio incontrati in carriera: “L’emblema dell’essere capitano per me è stato il mio primo capitano al Boca, Jorge Bermundez. Poche parole e grande personalità, quasi incuteva timore. Ho capito grazie a lui cosa voglia dire essere capitano, anche se ce ne sono diversi tipi come Zanetti, Totti o Mascherano e Messi nell’Argentina”.

Capitano nel bene e nel male. Perchè a volte sta al leader dover alzare la voce per richiamare l’attenzione. Personalità: “A volte capita… Anche nel Genoa a volte è capitato di usare maniere rudi. Bisogna dire la propria opinione di fronte ai problemi. Come coi social, serve stare attenti”.

Ma fortunatamente a Genova il difensore argentino si è imbattuto in un grande gruppo: Qua al Genoa si è creato un gruppo speciale. C’è chi ha la mia stessa mentalità come Perin, anche se portiere ed è un po’ matto, poi Pavoletti, Rincon, Lamanna, Rigoni e tanti altri: un gruppo con tanti valori. A chi è leader non serve la fascia”

Domenica sera l’avversario di turno sarà l’Inter, una squadra che nel cuore di Burdisso avrà sempre un posto speciale. E dove incontrerà un altro argentino e capitano proprio come lui, Mauro Icardi, Una scelta coraggiosa consegnargli la fascia da parte della società. Un capitano è tale soprattutto in campo e lui lì non ha quasi mai sbagliato. Il resto lo imparerà”.

E quanti ricordi ai tempi dei nerazzurri. Uno in particolare, la situazione più difficile della sua vita: “Pensando all’Inter la prima cosa che mi viene in mente è mia figlia Angelina che a 2 anni sconfigge una malattia difficilissima. Un momento che mi ha cambiato, ricordo l’ansia con mia moglie nell’aspettare l’esito degli esami. A distanza dico che affrontando a soli 23 anni la leucemia di mia figlia fosse impossibile mantenere l’equilibrio in campo. Ma ho imparato molto. Mia figlia è stata leader in una situazione così difficile, ha preso tutto come un gioco ed ha lottato. Ora per fortuna sta bene. Tanti hanno fatto di me un eroe, ma il vero eroe è lei. Io ho fatto solo il padre ed è stato facile fermarmi con il calcio”.

Mi dissero ‘Fermati e torna quando vuoi‘. Sono stato fortunato: con un altro lavoro non avrei potuto visto che molte famiglie che hanno affrontato ciò devono portare il pane a casa”.

Lasciato alle spalle il passato, il futuro prossimo vede la riapertura del mercato. E col Genoa si sa, le sorprese sono sempre dietro l’angolo: Devo dire una cosa che non piacerà ai tifosi: loro vogliono che restino tutti ma oggi è molto difficile visto le cifre che girano. Da egoista direi ai miei compagni di restare ma dall’altro lato penso che se vogliano andare è giusto che lo facciano. Chi andrà via lascerà il posto a qualcun altro che potrà fare ancora meglio. In questo gruppo c’è la mentalità giusta affinché ciò avvenga”.

Il futuro di Burdisso invece? “A una certa età si pensa solo al presente. Non ho parlato con la società, ora non serve. Ma ho le motivazioni giuste per continuare”.

Chissà, magari da allenatore… “Sono un allievo, imparo da maestri come Juric e prima Gasperini, Luis Enrique, Zeman, Garcia, Ranieri, Mourinho, Mancini, Bianchi, Bielsa ed altri. Ho appreso da tutti e con tutti loro mi sono confrontato. Compreso mio padre, Enio, che allenava nei dilettanti. Mi teneva nascosto sotto la panchina per far sì che l’arbitro non mi notasse, io guardavo da lì la partita ed è uno dei miei ricordi più belli. Allenare un domani il Genoa sarebbe un sogno, basta vedere Ivan (Juric) oggi”

Redazione

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