Un bambino, qualunque bambino, vede l’avvento dei Mondiali come qualcosa di unico. Il momento top di un’estate. Quattro anni di attese, partite di campionato, coppe, gioie e dolori arrivati dai propri club. L’apice di una storia, di un percorso. Un momento… Irripetibile, decisivo.
Da italiano, poi, a quasi dodici anni da compiere, lo vivevi diversamente. Un’estate strana, un’estate diversa. La prima dopo la prima media, la prima fuori la sera con gli amici. Le biciclette, i ragazzi più grandi che si vantavano di conquiste amorose e dei loro motorini nuovi di pacca. Un campionato di Serie A finito, con uno spettro che aleggiava sull’Italia del calcio. Altro che spada di Damocle, molto peggio. Nessuno sapeva come sarebbe finita. E il Mondiale, quello tedesco, nelle attese non poteva che finire così.
Perché lo sapevamo tutti: niente storie, dovevamo vincere. E lo sapevano anche loro 23. Per noi, per loro, per tutti: uniti, forse per la prima volta davvero, sotto una sola bandiera. Vincere, per autoconvincersi che, nonostante gli intrighi, nonostante la paura, nonostante l’assenza totale di certezze, noi, quando siamo sfavoriti, emergiamo. E vinciamo. E ci credevi, tu, ragazzino quasi dodicenne. Che compravi il videogioco dei Mondiali, che ti immedesimavi nei tuoi idoli. Azzurri.
Grazie, Azzurri. Perché quel 9 luglio 2006 non se lo scorda nessuno. E chi non c’era, o non era ancora in grado di capire, l’ha scoperto col tempo. Generazione: “Gilardino, dentro Del Piero, Del Piero: gooool”. Lacrime, a ripensarci, brividi. Da impazzire, perché a quel gol non esisteva il tifo per i club. Esisteva un colore, un tricolore, un obiettivo. Che era lo stesso di quel (quasi) dodicenne che sognava. Di andare a Berlino, di andare a prendersi la Coppa. Quella, Coppa.
Ricordare quella sera è facile: Shakira, cucchiaio, Materazzi, testata, Grosso. E quattro volte: “Siamo Campioni del Mondo”. Piangere, a questo punto, è normale. Lo fa anche quel ragazzino, che oggi di anni non ha più (quasi) dodici. Ne sono passati undici.. E a rivedere, nel tempo, quei replay, quei gol, quegli abbracci (e quella Coppa), ha capito che, forse, viviamo troppo nel passato. Stile italiano? Forse, è la nostra storia, guardare al passato e compararlo con presente e futuro. Ma questo passato, questa Coppa, questo 9 luglio 2006, non possiamo scordarlo. Non dobbiamo scordarlo, ma ricordarlo, amarlo, stringerlo forte. “E vogliamoci tanto bene”. Grazie, Azzurri. Non solo dall’ormai ex ragazzino. Ma da tutti noi.
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