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“11? E mo’ che è ‘sto numero?!”. Murgia, dal “bello” alla “dieci”. Fabbro ricorda: “Famiglia, valori, talento. Era il mio Verón…”

I compagni lo chiamavano il “bello”. Motivazione intuibile: “Tutte le ragazzine gli andavano dietro…”. Posato, tranquillo. “Un ragazzo a modo”. Ma per tutti era il “bello”. Un “bomber”. Insomma, abbiamo capito. Peccato che il “bello” era anche “un bel… talento!”. Centrocampista, lui. Pardon: “Regista. Con visione di gioco, bel tiro, bei calci piazziati”. Genere intuibile stavolta. Giocatorino niente male, di quelli ordinati e “puliti”. Predestinato, inoltre. “Ne risentiremo parlare” dicevano ogni anno. E avevano ragione. Perché oggi, qualche stagione dopo, Aessandro Murgia fa il suo esordio in Serie A con la maglia della Lazio. Futuro da grande poi, garantisce Enrico Fabbro, uno dei suoi primi allenatori: “Ha sempre avuto le caratteristiche giuste per fare il calciatore, è stata una grande emozione vederlo in campo, vuol dire che le intuizioni che avevo erano giuste. Mi era già capitato con Lorenzo De Silvestri, poi anche con Guido Guerrieri (sempre della Lazio, oggi è in prestito al Trapani ndr)”.

Orgoglioso, Fabbro. Pronto a raccontarci il primo Alessandro in esclusiva. Into the Murgia: “L’ho allenato nei Giovanissimi della Lazio, era al suo primo campionato nazionale. Giocammo contro squadre importanti, dalla Fiorentina al Napoli, fino alla Roma di Montella. Tutte esperienze che l’hanno aiutato a crescere”. Nonché a confermarsi come uno dei talenti più promettenti della cantera biancoceleste: “Alessandro è un giocatore di qualità, senza dubbio – racconta Fabbro ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – è innamorato del pallone, a fine allenamento restava sempre un po’ di più per imparare”. Caratteristiche chiare già da tempo: “Ha un’ottima tecnica, sa fare anche la mezz’ala ma il suo ruolo è quello di centrocampista centrale. Può giocare sia davanti la difesa che più avanti, per innescare gli attaccanti. E’ un costruttore, molto tenace. Ha vent’anni e ampi margini di miglioramento”.

Il carattere, prima del talento: “Ha personalità, è sempre stato consapevole dei propri mezzi”. Ma piedi per terra: “Non è uno sbruffone, uno che se la tira. Mai stato così”. Merito della famiglia: “E’ stata la sua fortuna, non gli hanno mai fatto pressioni. Anzi, lo hanno protetto. Sono persone semplici, umili, serene, un nucleo familiare molto solido”. Papà in primis, che l’ha sempre seguito conservando le sue magliette, anno dopo anno. Fino all’esordio contro il Pescara, con tanto di maglietta “conservata per lui”. Murgia style: “E’ un ragazzo equilibrato, sta attento a quello che mangia, va a letto presto. E’ più grande dell’età che ha, sicuramente. Già a 15 anni voleva fare il calciatore, alcune cose le lasciava perdere”.

Uno che sa stare in gruppo: “Giocava perché bravo, i ragazzi lo apprezzavano. Sa fare squadra, lo vedo anche sui social network”. Leader: “Tecnicamente sì. Ma nonostante tutto, quando serviva, sapeva accettare la panchina. Non si è mai lamentato”. Numero 10 puro e semplice, una sorta di Veron: “Me lo ricorda. Ovviamente senza paragoni eh, chiaro. Ma sono entrambi giocatori di qualità”. Due 10, appunto. “Anche se una volta…”. Fabbro svela l’aneddoto: “Eravamo in difficoltà con la formazione, gli feci fare un altro ruolo e gli diedi la maglia numero 11. Lui era abituato alla 10, allora mi disse “e mo’ che è sto numero?!”. Era contro la Fiorentina…”. Esperienze, sorrisi. Oggi il “bello” è cresciuto e gioca pure in Serie A. Indossa la 96, ma stavolta, ne siamo sicuri, non farà storie per il numero. Vale già un bel 10 essere lì.

Francesco Pietrella

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