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Data: 21/03/2017 -

Tra poesia, sorrisi e quella promessa fatta a papà Joao: buon compleanno Ronaldinho, esteta di un calcio che forse non esiste più

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Bernabeu in piedi, applausi. Teatro d'eccezione per uno spettacolo custodito nella Hall of Fame delle opere d'autore. Protagonista? Ronaldo de Assis Moreira. In arte (perchè di poesia si parla) Ronaldinho. E' il 19 novembre 2005, data cerchiata in rosso in un calendario che la Liga conserverà per sempre. Real Madrid-Barcellona una di fronte all'altra, il numero dieci in maglia blaugrana invece si posiziona più in alto. Là, dove nessuno è invitato. Doppietta e standing ovation. What else? Lui risponde con un sorriso, l'inconfondibile karma che ne descrive la sua essenza.



Brasiliano, poetico, splendido, magico. Aggettivi raccolti un po' alla rinfusa, tutti però tremendamente azzeccati. Perle lucenti di una carriera costruita passo dopo passo, dribbling dopo dribbling, gol dopo gol. Tanti, tutti meravigliosi. Il segreto? Quell'allegria contagiosa diventata sua 'maestra di vita' all'età di 8 anni. Un giorno di inverno come tanti, trasformatosi in un incubo difficile da cancellare. Ronaldinho torna a casa dopo una partita con gli amici, ad aspettarlo tutta la sua famiglia con aria triste. La mamma piange, il fratello Roberto lo stringe a sè. "C'è stato un incidente, papà è morto". Ronie cambia espressione e corre a prendere l'ultimo ricordo di papà Joao. Una fotografia in cui giocano insieme a calcio con il sorriso sulle labbra. Mano sul cuore e promessa che nasce: 'ogni volta che giocherò a calcio, lo farò con il sorriso per rendere orgoglioso papà'.


Le strade di Porto Alegre lo rendono famoso. I video dei suoi dribbling gli aprono le porte del Gremio, dove gioca anche il fratello Roberto. Il piccoletto con i dentoni non lo ferma proprio nessuno. Ma dove ha imparato a scartare tutti così? Il segreto è... a quattro zampe: "Se dribblo così lo devo al mio cane Bom Bom, da piccolo mi allenavo a saltarlo e adesso eccomi qui". Il 1997 lo consegna al vero mondo del calcio, debuttando in prima squadra col Gremio. Due anni e Dinho vince il Campionato Gaucho, siglando anche un gol in finale contro l’Internacional, squadra capitanata da Dunga. Il Brasile chiama, Ronie risponde e vince Mondiale e Confederations.



Il pass per l'Europa è servito. Prima PSG, poi il Barcellona che lo acquista per 30 milioni. L'impatto è da sballo, i suoi gol anche. Trofei? Collezione infinita. Due Liga, due Supercoppe di Spagna, una Champions League (vinta a Parigi contro l’Arsenal) e il Pallone d’Oro 2005, simbolo della sua immensa grandezza. Due stagioni ancora e poi l'addio, deciso da un certo Pep Guardiola. "Tranquilli, vado via ma ho lasciato il Barcellona in buone mani" fa sapere Dinho, che qualche anno prima aveva convinto Rijkaard a promuovere in prima squadra un piccoletto argentino delle giovanili. Il suo nome? Nemmeno a dirlo, Leo Messi. Prossima tappa Milano. Un San Siro gremito lo idolatra, Ronie risponde col sorriso e palleggia. Senza sosta, senza sacrificio. Non è più il giocatore di Barcellona, ma con Leonardo dimostra ancora di saperci fare. Il presidente Berlusconi si stropiccia gli occhi, euforico per essersi regalato il gioiello che inseguiva da tempo.



Nel gennaio del 2011, poi, Allegri decide di non puntare più su di lui, costringendolo ad emigrare. Flamengo, Atletico Mineiro (con cui vince la Libertadores), Queretaro e, infine, Fluminense. Prima del ritiro ufficiale avvenuto proprio all'inizio di febbraio. Adesso Dinho fa l'ambasciatore per il Barcellona, esportando in tutto il mondo il suo sorriso e il suo amore per i colori blaugrana: "Ronaldinho aiuterà a rendere globale il marchio del club e a portare i valori blaugrana nel mondo. Attraverso la FCBEscola, le accademy del Barcellona e di Ronaldinho collaboreranno. Dinho parteciperà alle inaugurazioni di alcune scuole e prenderà parte a diverse attività alla presenza di ragazzi".



Futuro, ma anche presente. Da festeggiare certo, perchè oggi diventano trentasette gli anni di arte insegnata da Ronaldinho. Un alunno di strada diventato professore all'Università. Quella del calcio ovviamente, dove il fenomeno brasiliano avrà sempre una cattedra per insegnare. Candeline spente, brindisi fatto e occhi verso il cielo: papà Joao sarà sicuramente fiero di Ronie, campione sorridente che ha trasformato il football in poesia!



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