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Data: 04/01/2017 -

Prandelli: "Valencia? Non potevo restare, ero delegittimato verso la squadra e i tifosi"

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Il 29 settembre Cesare Prandelli iniziava la sua avventura a Valencia, con tanti buoni propositi. Esattamente tre mesi dopo si è chiusa la sua parentesi spagnola, con tanto di polemiche. La società non ha mantenuto le promesse e Prandelli si è sentito tradito: le dimissioni una decisione inevitabile. A spiegare come sono andate le cose ci ha pensato lo stesso ex ct della Nazionale attraverso le pagine de La Gazzetta dello Sport:

"Non potevo restare al Valencia. Ero delegittimato verso la squadra e i tifosi. Ho tanta adrenalina addosso e voglia di parlare perché ho tanta adrenalina addosso e voglia di parlare. Le premesse erano molto diverse. Mi avevano promesso rinforzi, un investimento di 30 milioni poi molto ridotto. Ero stato a Singapore a parlare con la proprietà. Avevo detto: 'Ci sono problemi, ho bisogno almeno di un centravanti, due centrocampisti, un difensore sterno'. Risposta: 'Ok'. E vado subito su Zaza, ideale per il mio progetto. Chiudiamo con la Juve. Parlo con il papà, Antonio, e gli chiedo il permesso di contattare Simone. Lui ha carattere, personalità, è d’accordo e lo aspetto il 28 per il primo allenamento. Non posso perdere tempo. E invece la società blocca tutto e il 29 dicembre la vicepresidente, in videoconferenza, dice: 'Avete 24 ore per scegliere un centrocampista o un attaccante'. Ma come, dico io, la punta centrale è già fatta! Nessuna risposta. Allora mi prendo 24 ore di riflessione e poi mi dimetto: non abbiamo preso un giocatore... già preso. Missione finita".

Prandelli con le dimissioni ha rinunciato a un ricco ingaggi: "Due anni. Era un gran bel contratto, vi assicuro. Se volevo fare il furbo avrei aspettato l’esonero, ma non sono fatto così. Mi pagheranno i tre mesi. Avevano il problema del monte stipendi, volevano ridurlo, ma gli ho ricordato che quei contratti li avevano firmati loro". Calcio spagnolo superiore al nostro? "La base tecnica è altissima, non c’è gara. Organizzati, strutturati, lavorano sul possesso e scelgono sempre soluzioni e giocatori offensivi. In allenamento praticano un “torello” tattico che è un’evoluzione del nostro. Non speculano mai sul vantaggio, giocano fino al 90’ e anzi negli ultimi minuti succede di tutto e il pubblico se lo aspetta. Però tatticamente sono più monotoni. Giocano tutti con il 4-­2-­3-­1, anche se a volte camuffato. Ma il sistema è quello. Noi, tecnicamente inferiori, cerchiamo più soluzioni e corriamo di più: loro hanno meno intensità".

Il Napoli fa paura al Real: "Dico solo che, quando nello spogliatoio abbiamo visto le partite di Champions, i giocatori mi hanno detto: 'Questa è la squadra più forte d’Europa!'. Il Real non ha ancora vinto. Real o il Barcellona? Il Barcellona al completo, e al top fisico, è la più forte del mondo. Il Real Madrid è solido, convinto, con grandi valori tecnici". Guardiola vorrebbe ritirarsi: "Non è una boutade, non mi meraviglio: questo lavoro logora, è unico, stressante. A tanti, a quell’età, viene il momento del ripensamento, l’idea di lasciare. Ma poi due successi ti ricaricano subito. Solo non concludete che Guardiola non ha le palle: il tempo è galantuomo e uno come lui le ha da quando ha cominciato a giocare. Chi arriva a certi livelli le ha. Pensa che Sarri non le avesse anche in prima categoria?". Allegri? Non credo che la convivenza sia faticosa, soprattutto se sei in buoni rapporti col club. Se vinci e rivinci non ti logori. Io un pensiero così forte come quello di lasciare non l'ho mai avuto. Ma l’idea di non allenare all’infinito sì. Se si parla di Trapattoni dobbiamo metterci tutti sull’attenti, ma lui è unico. Se tutti fossero come lui sarebbe un problema...".

Secondo Prandelli nel calcio moderno saranno privilegiati i "talenti con fisicità". Uno gioca in Italia: "Nel City c’è il tedesco Sané, classe enorme, velocità, forza. E in Italia il nome è Bernardeschi. Ha tutto: qualità, corsa, resistenza. È il prototipo di giocatore perfetto per il futuro che è già presente. Giocatori che si integrano nella squadra. Di Messi ne nascono pochi... Solo Messi può permettersi di gestire il suo calcio al di là dei moduli della squadra. Possiamo dire che un po’ scompagina i moduli. Dybala? Ha qualità enormi, fa gol, non dà punti di riferimento, ma è più seconda punta o, meglio, attaccante atipico. Juve a tre punte? Certo che si può. Ma il Barça ha una punta centrale, Suarez, una esterna, Neymar, e uno come Messi che gioca dovunque. La Juve ha due centrali come Higuain e Mandzukic, due giocatori su tre sono simili: aprire il fronte d’attacco diventa più complicato. Pjanic? Alla Roma era uno dei centrocampisti più forti d’Europa, tocchi, gol, visione di gioco. E molto libero. Ecco, forse, nella Juventus così organizzata non può prendersi queste libertà. Ma il giocatore non si discute".

Su Berardi e Balotelli: "Berardi tecnicamente è straordinario, valori altissimi. Del carattere, poi, non so. Mario? Non so se mi ha dato meno di quanto gli ho dato ma, se credi in qualcuno o qualcosa, insisti. Quest’anno Mario ha ancora la possibilità di essere quello che tutti pensano. Dipende da lui. Forse finora non è stato il calcio la sua priorità. Ha tecnica, potenza, gol, visione di gioco . Poi ci vuole la motivazione, la voglia di migliorarsi, i sacrifici tutti, tutti, tutti i santi giorni. Comunque rifarei quello che ho fatto". In chiusura d'intervista Prandelli parla del suo futuro: "Sono determinato, adrenalinico, motivatissimo, ma non ho lasciato il Valencia per andare in un’altra squadra. Fatemi solo recuperare due idee e ne riparliamo presto: non ho in mente di ritirarmi, io".



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