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Data: 05/10/2017 -

Ex muratore e musicista che disse 'basta' col calcio: ecco Benedetto, l'idolo di casa che sostituirà Icardi alla Bombonera

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La partita della vita, senza prova d’appello. Argentina – Perù: vietata ai deboli di cuore. Vietato sbagliare. Per entrambe. Appaiate a quota 24 nel girone col fiato sul collo del Cile di un punto alle loro spalle, col rischio – concreto - di vedere il Mondiale russo da casa. La Federazione argentina ha fatto di tutto perché si giocasse in uno stadio infernale come la Bombonera. Addirittura secondo i quotidiani locali sarebbero stati regalati biglietti alla ‘Doce’, la curva dei tifosi più caldi del Boca, per infiammare il clima all'inverosimile. La mossa che però incendierà definitivamente la Bombonera è un’altra: quella di Sampaoli di schierare al centro dell’attacco albiceleste il ‘Pipa’ Dario Benedetto. Né Icardi - “Non è al 100%, ha dei problemi fisici", parola di Sampaoli -, né Dybala, né Higuaín – nemmeno convocato – ma l'idolo di casa. Il trascinatore del Boca amatissimo da Maradona: “Benedetto vale 5 volte Icardi”. Dal ‘Pipita’ al ‘Pipa’. Per quest’ultimo nonostante i 27 anni una sola presenza con la Selección, quella raccolta contro il Venezuela lo scorso 5 settembre. Arrivato al top un po’ tardi, sì. Origini italiane (di Ancona) ma semi sconosciuto o quasi in Europa, idolatrato invece in patria dove gli argentini non avrebbero dubbi su chi scegliere tra lui e Maurito, reo di non aver mai giocato in Primera. Al contrario di Benedetto che gioca nella sua squadra del cuore, nel 'suo' Boca che non ha mai voluto lasciare dopo esserci approdato con tanta fatica e… pagando un milione di tasca propria affinché il passaggio dall’América al Boca nel 2016 andasse in porto. La Roma poi stava quasi per portarlo nella Capitale la scorsa estate: ne parlarono Monchi ed il presidente Angelici ma non si trovò l’accordo. Lo avrebbe voluto anche il Besiktas. I Los Angeles Galaxy su tutti avevano messo sul piatto una ricchissima offerta ma niente da fare: “Io dal Boca non me ne vado”. Giocare la Libertadores con quella maglia per Benedetto non ha prezzo.


Muratore e musicista: "Quando morì mia madre decisi di smettere per sempre col calcio..."


Storia da brividi, la sua. Di quelle che solo il fútbol sudamericano può dipingere. Tutto iniziò a El Pato, centro agricolo di settemila anime, quando Dario vestiva la maglia delle giovanili dell’Independiente. Mia mamma, Alicia, ebbe un attacco cardiorespiratorio proprio mentre era a vedere una mia partita: la finale dei Juegos Nacionales Evita. Fu trasportata di corsa in ospedale ma non ci fu niente da fare. Aveva 40 anni, io 12. Io e i miei fratelli eravamo piccoli. Ci fu uno sconvolgimento nella mia vita. Non volli più continuare con l’Independiente, decisi che non avrei mai più giocato a calcio. Da quel momento la nostra nonna paterna, Dora, divenne come una seconda madre per noi”. Carriera ma soprattutto vita ad un bivio. Crescendo però si matura, si riflette. Si superano i traumi e si ricomincia a vivere. Se sei sudamericano poi, resistere al richiamo della cancha è impossibile. “A 16 anni accettati la realtà e tornai a giocare quando mi si presentò l’opportunità di sostenere un provino con l’Arsenal de Sarandí. Mamma divenne il mio pilastro. Capii che non avrei dovuto smettere perché sia a lei sia a papà il calcio piaceva moltissimo. Hanno sempre seguito me e mio fratello Lucas ovunque quando giocavamo nel club Juan Maria Gutierrez. Ciò mi ha fatto riflettere”. Il ‘Pipa’ – chiamato così per quel naso pronunciato – tornò a vestire gli scarpini. Tutt’altro rapporto ebbe invece coi libri di scuola: quelli, a dir la verità, non gli sono mai andati a genio. “Andavo malissimo a scuola, non mi piaceva proprio. I miei compagni si presentavano in classe con una cartella piena di libri, io invece con appena un paio di fogli. Prendevo sempre 1 nei compiti in classe. ‘ Se non ti va di studiare, vieni a fare il muratore con me’, mi disse un giorno mio padre. Non ci pensai due volte. Lavoravo fino a mezzogiorno e poi alle 14 iniziavo gli allenamenti con l’Arsenal”. Lavoro, calcio e… musica. Col fratello Lucas formò una band, i Los del Pato, fino a quando “a 17 anni dissi basta. ‘Mi dedico al calcio’. Perché la musica, come qualsiasi attività, richiedeva tempo. Suonavo il timballo nei Los del Pato, scrivevamo canzoni piacevoli e registrammo addirittura un CD. Non solo, suonavamo ai compleanni e per ben tre volte finimmo in tv al sabato sera sul canale América! Se non fossi diventato un calciatore mi sarei sicuramente dedicato alla musica. Amo la cumbia ma in generale ascolto di tutto”. L’ascesa di Dario Benedetto da El Pato fino all’albiceleste è iniziata qua. Senza però mai dimenticare “da dove vengo. Non perderò mai l’umiltà. Mi ricorderò sempre di El Pato, di cosa ho passato. L’umiltà viene prima di tutto, insieme a mia moglie Noelie e mio figlio Felipe”.


L'evoluzione passando dal Messico fino alla Selección


Privilegiare il calcio alla musica si rivelò una scelta azzeccata. Non passò molto infatti da quel momento all’esordio da professionista. Scherzo del destino: la prima ‘tra i grandi’ fu proprio contro il Boca, il 9 novembre 2008. Il primo ‘Pipa’ però era un giocatore diverso da quello ammirato oggi nella Selección. Più rifinitore che goleador. Infatti quel talento faticava ad emergere prima di essere impostato come nueve. Venne girato in prestito nelle serie minori argentine prima al Defensa y Justicia, poi al Gimnasia Jujuy dove iniziò a far intravedere tutto il proprio potenziale, esploso definitivamente nell’esperienza in Messico. Al Tijuana si presentò così: tripletta contro l’Atlas. Dopo 21 gol stagionali e 8 milioni nelle casse del Tijuana ecco il passaggio al club América dove è stato superato l’ultimo step verso l’esplosione definitiva. Verso la creazione di quell’attaccante dalla stazza non imponentissima (1,75 cm) ma con garra e huevos fuori dal comune. E ovviamente una tecnica incantevole. Anche se nemmeno tutt’ora è un 9 puro. Unico nel suo genere ma più simile ad un Agüero che ad un Higuaín, per intenderci. Sa calciare addirittura le punizioni. Di quelli che ammiri toccar la palla ed è amore a prima vista. All’América in due stagioni vinse per ben due volte la CONCACAF Champions League risultando decisivo in entrambe le finali, prima contro il Montreal Impact poi contro il Tigres. 49 reti in due anni: biglietto da visita super. Il 6 giugno 2016 il ‘Pipa’ ha coronato il suo sogno. Finalmente, il ‘suo’ Boca. Tatuato perfino sulla pelle, sul fianco sinistro con tanto di scritta ‘Esto es Boca’: In Argentina se ti tatui lo stemma di un’altra squadra rispetto a quella in cui giochi non te lo perdonano. Così, me lo tatuai nel 2015 quando giocavo all’America…”. Off topic: oltre alla musica, le altre grandi passioni dell’argentino sono i tatuaggi ed il basket. “Il primo fu lo scorpione sul collo quando avevo14 anni. È come un vizio tatuarmi ogni parte del corpo. Non so più nemmeno quanti ne ho”. Neanche il tempo di vestire la camiseta azul y oro che divenne leggenda. Tanto da esser accostato di continuo ad un mito vivente come Martin Palermo. Pensate che solo due giocatori del Boca negli ultimi 25 anni erano riusciti a segnare una tripletta nei primi 25’ di una partita: Palermo e proprio Benedetto (contro il Quilmes il 25 settembre 2016). Non solo, Benedetto è stato l’unico a segnare di tacco alla Bombonera dopo Palermo. 21 reti in 25 partite alla prima stagione, festeggiati con il 32° titolo nazionale della storia del Boca. Ora lo score recita 31 reti in 38 presenze. Ogni volta che entra in campo alla Bombonera segue un rituale ben preciso: guarda sempre verso La Doce in ricordo di quando sedeva sugli spalti per tifare ed esultare per quella maglia che ora indossa. Così farà anche stasera. Chiamato a scrivere la storia dell’albiceleste nel suo stadio. Di fronte alla sua gente. Con la Bombonera pronta ad esplodere non appena lo speaker pronuncerà il suo nome, figuriamoci se dovesse segnare un gol. Sì, forse è anche per questo che Sampaoli non ci ha pensato due volte prima di optare per Benedetto nella partita della vita per per l’Argentina. Osiamo: forse avrebbe fatto la stessa scelta anche di fronte ad un Icardi non così acciaccato. Perché Argentina-Perù alla Bombonera non può che essere la partita del ‘Pipa’: vietata ai deboli di cuore.



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