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Data: 28/06/2016 -

#CopaAmerica - Da "El Zlatan" all'ingegnere mancato: aneddoti e curiosità sui 'nuovi' eroi cileni

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Una Copa (ri)sollevata, un paese intero in festa. Tensione trasformata in euforia, felicità subentrata all’apprensione. E lacrime di gioia, ebbrezza pura: che orgoglio questa Roja! Giocatori straordinari, una squadra impressionante per pressing alto, garra e attaccamento. Un progetto intrapreso da Bielsa proseguito poi da Sampaoli e Pizzi: cambiano i ct ma i risultati no. Sanchez, Vidal ed Edu Vargas? Eroi, trascinatori. Sì, ma assecondati ed appoggiati da compagni unici, pronti a sputar sangue sostenendosi l’un l’altro, come la storia di ciascuno di loro insegna. Ed in pieno stile del fútbol targato Sudamerica, poi: partiti da così lontano, arrivati così in alto.

Un esempio? Nicolas Castillo, attaccante classe ’93 ex meteora del Frosinone con appena 6 presenze e 0 gol in Serie A. Sembrava essere l’ennesima scommessa persa proveniente dall’altra parte dell’Oceano, invece… Tornato a casa a gennaio, nella sua Universidad Catolica, si è trasformato in una macchina da gol. Che magia nella città di Santiago, dove quando tutto sembrava ormai perduto, ecco la pronta rinascita. Per lui, poi, che fin da bambino aveva il sogno di vestire la maglia ‘cruzada’ grazie al nonno col quale si recò allo stadio per la prima volta, tornare di nuovo in quella società si è rivelata una scelta azzeccata. Idolo dalle sue parti, dai gradoni alla ‘cancha’: fu il fratello Diego a coinvolgerlo nel tifo estremo per la squadra tanto amata, fino a renderlo un vero e proprio ultras che riuscì poi a difendere i propri colori anche sul terreno di gioco, spostandosi per le trasferte sul furgoncino del nonno. “Gli regalammo il primo pallone appena imparò a camminare e se ne innamorò. Con quel pallone si esibiva dappertutto, sia in casa che in strada. Da bambino poi giocava sempre coi ragazzi di 2 o 3 anni più grandi, fino a che nel barrío lo soprannominarono ‘el Ibra’ per le movenze ma anche perché lo svedese è sempre stato il suo idolo”, raccontano i genitori. “El Ibra è tornato”, inneggiano ora in Cile, eccome: 11 gol in altrettante presenze e torneo di Clausura dritto dritto nel palmarès personale. Ah, ovviamente andando poi a festeggiare il titolo insieme agli amici ultras a Plaza Italia, con tanto di Bengala in mano.

Da un abitante di Santiago ad un altro: Josè Fuenzalida. Lui però della “vecchia guardia”, classe ’85 anch’egli dell’Universidad Catolica, centrocampista tra esperienza e gol. Due quelli realizzati in questo torneo, contro Spagna e Colombia. E pensare che il suo mestiere sarebbe dovuto essere un altro… “La cosa più logica che avrebbe dovuto fare sarebbe stata continuare a studiare ingegneria. L’altra invece giocare a calcio e poi studiare, ma mai avrebbe potuto studiare e poi giocare a calcio”, ha raccontato il padre. “Spesso in ritiro portava con sé i libri – ha continuato la madre – Al mondiale U20 in Olanda so che per trovare la concentrazione leggeva biografie storiche. Si annoiava quando non studiava”. Una specie di secchione, il ‘Chapa’, detto così per la somiglianza con L’ex Boca Guillermo Barrios Schelotto. E tuttavia il sogno di diventare ingegnere non lo accantonò anzi, riprese gli studi iscrivendosi alla facoltà di Ingegneria Commerciale all’Università Cattolica, proseguendo allo stesso tempo la propria carriera calcistica, non senza risultati. "In alcuni luoghi se dici di essere un giocatore ti guardano strano, soprattutto nell’ambiente in cui vivo. Invece, se dico di essere un ingegnere, è un'altra cosa. Ma ora mi piace arrivare da qualche parte e dire che sono un giocatore di calcio. Sapete, si rendono conto che siamo persone normali”, ha affermato lo stesso Fuenzalida durante il Mondiale in Brasile. Un personaggio tanto singolare quanto fondamentale per la Roja, e chissà se al posto di dedicarsi ai festeggiamenti stia già pensando alla prossima sessione d’esami.

Infine, come non citare anche Jean Beausejour che, a differenza di Fuenzalida, al ‘colegío’ era semplicemente “nella norma”. Altrochè ingegnere… Matematica? “Scarsissimo! Però in storia me la cavavo alla grande”. Lui classe ’84 del Colo Colo, proveniente da… Troppo semplice indovinare, non è necessario lasciarsi andare troppo all’immaginazione: Santiago! Eh sì, una città in cui non è difficile imbattersi in personaggi unici, caratteristici. La storia del ‘Bosa’ poi, parla da sé. Di etnia ‘mapuche’ ed orgoglioso di esserlo, tanto da proporre alla Federazione di comporre una vera e propria selezione stile Catalogna in Spagna. Un sentimento vero, forte verso la propria etnia, decimata nell’800 quando il Governo cileno incorporò nello Stato i loro territori. Una volontà di rivalsa, per lui che non appena può torna tra gli Araucani, dove crebbe insieme al nonno Andrés: un amico prima di essere un nonno. Decise poi di diventare calciatore grazie all’ammirazione per quel Marcelo Salas, suo idolo di sempre, tanto da apporre una sua foto nello spogliatoio di ogni squadra in cui gioca. Ammirava e non poco anche Henry, ‘Kili’ Gonzalez e Giggs ma… “Erano i miei punti di riferimento, anche se sfortunatamente non ho appreso niente da loro - se la ride ad ogni intervista – Mio figlio poi mi chiede sempre di segnare qualche gol in più e lo capisco: per un bambino il gol è tutto”.

Un’altra figura fondamentale per la crescita professionale del cileno, oltre agli amici di sempre Carlos Carmona e Jorge Valdivia, fu Bielsa, ‘el Loco’. E che ammirazione per l’allenatore argentino: “Poter lavorare con un allenatore come lui è un privilegio, sono maturato sotto tutti i punti di vista. A me e a tutti i miei compagni ha aperto la mente, come Matrix. Ora so cosa faccio nel modo giusto e dove sbaglio, prima non me ne accorgevo: lavora in un’altra dimensione calcistica – continua ‘Bosa’ – Pensate che una volta incontrai Tevéz su un aereo diretto in Sudamerica dall’Inghilterra e lui mi chiese: ‘Come sta il Loco? È il migliore del mondo, approfittane!’. Bielsa non è solo calcio, è un ideale”.

Queste parole non potranno che confortare i tifosi della Lazio, sperando di poter esultare un po’ come i tifosi del Cile. Risollevare quella Copa per i cileni dev’essere stata un’emozione unica, irripetibile. Inutile chiedersi il perché quando dietro a giocatori di talento esistono certe storie, tra romanzo e magia. E allora che festa roja sia: il Cile ce l’ha fatta, ancora una volta. Alberto Trovamala



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