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Data: 15/11/2017 -

Ancelotti e il richiamo dell’Italia. Perché è l’uomo giusto, perché ora si può

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Nell’anno zero, la sveglia fa un rumore strano. È il triplice fischio di un arbitro spagnolo che tira tutti giù dal letto e dalle poltrone. È l’allarme che costringe ad aprire gli occhi. Sì, non era un incubo, siamo sempre fuori dal mondiale, non è cambiato nulla rispetto a qualche ora fa. Ma quando la sveglia suona, suona per tutti. Perché ci sarà un prima e un dopo 13 novembre. E se il tempo delle nostre vite non sarà scandito da un mondiale, questa data resterà comunque cruciale.

Quel fischio che ha ammutolito un Paese ronza ancora nelle orecchie di tutti. E costringe a rivedere i piani. Dei tifosi che sognavano un’estate diversa. Dei calciatori che pensavano a un’altra fine. Dei dirigenti federali che speravano di aggrapparsi all’ultimo salvagente. Degli allenatori, soprattutto. Perché uno se ne va e un altro arriva. Ventura tra qualche ora non sarà più il commissario tecnico. Dimissioni o meno, la sua tormentata esperienza è finita. E allora qualcuno deve cambiare i suoi piani. Prendere una barca che sembra un antico veliero. Bellissimo a vederlo da fuori, ma con una manutenzione impossibile. Falle ovunque, navigazione quasi impossibile in mezzo alla tempesta. Solo un condottiero esperto può farcela. Uno che non sia solo un tecnico esperto, ma anche un punto di riferimento a cui guardare quando ci sentiremo soli. Perché il peggio deve ancora venire e lo pensiamo tutti, senza dircelo. Un capitano coraggioso e un padre della patria premuroso. Magari uno in cerca di rivincite. O uno che si è stufato di navigare lontano da casa, dopo aver circumnavigato il successo, assaporando le sfumature del trionfo in lingue diverse, ma anche le delusioni e il freddo di chi ti rispetta ma non ti ama.

Uno che ci sia da subito, in questo risveglio terribile. Un uomo che sappia rimboccare le coperte al nostro calcio, scuotendo tutto, con la forza tranquilla di chi sa dove mettere le mani. Ma chi può farlo?

Sembrava impossibile, ma quel fischio forse ha convinto Carlo Ancelotti che l’Italia dell’anno zero ha veramente bisogno di lui. Che stringersi a coorte significa rinunciare a piani diversi. Non allenare la Croazia al prossimo mondiale. Interrompere l’anno sabbatico bruscamente. Dimenticarsi di allenare un club, vedendolo crescere giorno per giorno. Il suo compito, se accettasse davvero di guidare questo veliero chiamato Italia, sarebbe infinitamente più grande. Più della decima col Real o della notte di Atene col Milan. Più dei trionfi a Londra, a Parigi o a Monaco. Un Paese sussurra il suo nome e spera di essere preso per mano dall’uomo di Reggiolo. Perché siamo orfani di un mondiale e di una guida, inutile negarcelo. E Ancelotti in fondo è come il papà che ti abbraccia quando ti sei appena svegliato da un incubo.

Secondo quanto raccolto da Alessandro Alciato di Sky Sport, prima di abbracciare, Carletto vuole capire chi c’è sotto le coperte, al di là del popolo. Impossibile non pensare a un totale ricambio. Non delle federe, ma della federazione. Una rivoluzione costosa per tanti, ma doverosa. A partire da Tavecchio, sfiduciato nuovamente da Malagò e ormai vicino alle scialuppe. Il cambiamento potrebbe governarlo Cosimo Sibilia, attuale numero 2 della FIGC. Ma non basterebbe. Per salire a bordo, Ancelotti difficilmente accetterà un equipaggio di fortuna. Solo un vero rinnovamento potrà convincerlo. Partendo dalla convocazione di chi ha condiviso mille battaglie con lui e che da troppo tempo aspetta, fra una partita di tennis e l’altra. Un incarico attivo di Paolo Maldini nell’organigramma federale potrebbe essere una chiave fondamentale. Le questioni economiche sono importanti, ma potrebbe essere sistemata in qualche modo. Un po’ come successe con Conte, ricorrendo agli sponsor da mettere sulla barca.

Accettare significa dare una svolta alla propria vita. Farsi carico di una sfida difficile e stimolante. Approdi lontanissimi, mari sconosciuti. Eppure quell’inno, quel richiamo della bandiera, sarebbe la chiusura di un cerchio. Perché cos’, fra il ’92 e il ’95 era iniziata la carriera da allenatore di Ancelotti, alle spalle di Arrigo Sacchi. Anche lì venivamo da un fallimento: la mancata qualificazione agli Europei del ’92. Il palo di Rizzitelli allora, quello di Darmian oggi. Rumori che restano.
Adesso c’è da sciogliere il dubbio più grande: allenare o selezionare. Perché in fondo è tutto lì. Capire come sfruttare una rosa di milioni di persone, estrarre il meglio e presentare undici giocatori che rendano orgogliosi quelli che restano a guardare. È un compito difficilissimo, ma non ce n’è uno più bello. Per Carlo o per chi accetterà quel posto. A San Siro ieri c’era uno striscione. “Onorate la maglia che tutti vorrebbero indossare”. Forse su quella panchina non tutti vorrebbero sedersi. Uno da qualche ora forse sta rivedendo i suoi piani. La Croazia ha confermato Dalic, il riposo annoia e la Premier League, tanto agognata, è ancora troppo lunga da attendere. L’Italia gioca a Wembley la prossima, il 27 marzo contro l’Inghilterra. Magari sarà la vera chiusura di un cerchio.


Di Claudio Giambene

Tags: Nazionali



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